Credo di non aver mai visitato l’abbazia di Novalesa pur sapendo della sua esistenza.
Perché? Non ne ho idea, forse l’ho dimenticata e dire che ci si arriva in meno di un’ora da Torino.
Questa mattina cercando qualche borgo non lontano e non in pianura mi sono imbattuta in Novalesa.
A quel punto una vocina interiore mi ha sussurrato: l’abbazia di Novalesa!
Ottimo, mi son detta, con una fava prendo due piccioni, borgo e abbazia.
Abbiamo quindi lasciato il caldo della città e ci siamo diretti verso la valle di Susa che trovo davvero gradevole, verde e quieta.
Giunti in prossimità del complesso abbiamo tristemente scoperto che la strada che la raggiunge circa cinquecento metri prima è interdetta ai non residenti. Un parcheggio tutt’altro che grande ospita le auto in una zona un tantino boschiva, ma… era pieno… tuttavia io sono fortunata e mentre mio marito imprecava per dove l’avevo condotto, un’auto ha iniziato a muoversi, era il nostro posticino, tutto per noi.
Iniziata la passeggiata sotto il sole cocente mi son chiesta quale malsana idea avessi avuto, poi razionalizzando ho capito che non sarei morta e mi son detta:
“Suvvia non esser lagnosa!”
Giunti davanti alla chiesa siamo entrati e ho nuovamente pensato di aver sbagliato tutto. Era brutta, ma proprio brutta. Ero triste e vedendo un arco che conduceva in cortile, ho ritenuto doveroso attraversarlo. Un cortiletto anonimo ci ha accolti e un signore ci ha chiesto se desideravamo fare la visita all’abbazia. Dico io, ma c’è da chiedermelo? Ovvio che lo desideravo anzi lo volevo. Alle 15 in punto la visita è iniziata. Il complesso ha avuto una storia travagliata, fondata il 30 gennaio 726, inizialmente non aveva un abate, bensì un priore quindi avrebbe dovuto essere un priorato più che un’abbazia.




Circa un secolo dopo fu governata dell’abate Benedetto d’Aniane che applicò le severe regole benedettine.
L’abbazia ebbe lo splendore massimo con l‘abate Eldrado, un aristocratico proveniente dal sud della Francia che abbandonò il proprio status per dedicarsi alla coltivazione della terra per poi iniziare il pellegrinaggio che lo condusse a Novalesa dove si fermò sino alla morte.
All’inizio del 900 i saraceni invasero l’abbazia e i monaci si trasferirono a Torino.
Rimase abbandonato e intorno alla metà del 1600 giunsero i cistercensi che si sostituirono ai benedettini e rimasero per più di un secolo.
Dopo la caduta di Napoleone alcuni frati trappisti che gestivano un ospizio per il pellegrini sul Moncenisio scesero a Novalesa e occuparono l’abbazia.
Con la legge del 1855 di Cavour che prevedeva la soppressione degli edifici religiosi non addetti al culto, i monaci furono costretti ad andarsene e il complesso cambiò varie destinazioni d’uso tra le quali fu anche un albergo adibito alle cure termale.
Solo nel 1972 fu acquistato dalla Provincia di Torino e riaffidato ai monaci benedettini. Il complesso tornò così a rifiorire.
Attualmente ospita dieci persone di cui otto monaci.
La visita si snoda nel “parco” ove si possono vedere tre cappelle, di cui una dedicata a San Eldrado all’interno della quale due cicli di affreschi ne decorano i muri. Il primo dedicato alla vita di San Eldrado è il secondo a quella di San Nicola. I colori sono vividi e lascia a bocca aperta.
Un piccolo cimitero dei frati è davvero curioso con tre croci adagiate in terra.
Il tour termina nel piccolo, ma adorabile chiostro.
Tra l’altro all’interno del monastero fu ritrovato il Chronicon Novacilense, un manoscritto del XI secolo che riporta le vicende dei monaci benedettini all’interno del monastero. Si tratta di storie reali, aneddoti e leggende. Non si conosce l’autore ed è custodito nell’Archivio di Stato di Torino.
Al termine di questa piacevole scoperta ci siamo diretti verso il borgo di Novalesa.
A mio avviso è stupendo, ma soprattutto merita una visita la chiesa di Santo Stefano.
Non appena sono entrata mi ha accolti un profumo di pulito e un ordine che pareva quasi il salotto di casa. All’interno una teca lignea ricoperta da uno strato di argento conserva le reliquie di s. Eldrado.
Un sacerdote simpaticissimo ci ha consentito di avvicinarci per ammirarla meglio e ci ha intrattenuti con racconti davvero curiosi. È stata un’esperienza molto interessante che a me che religiosa non sono, farà ricordare un prete da ammirare!




Articolo e  foto di L. Faccioli (Dal Gruppo Facebook Gite fuori porta in Piemonte)