La cucina piemontese in chiave vegana raccontata dal ristorante Mezzaluna
Il ristorante Mezzaluna è noto per le sue versioni 100% vegetali di piatti tradizionali italiani e in particolare piemontesi.
Oltre a questo il locale offre piatti completamente originali di sua creazione: sapori quindi sia noti che innovativi.
In questo articolo racconteremo come si crea un piatto vegan efficace sia a livello gustativo che nutrizionale e in particolare come si traducono le caratteristiche di un piatto tradizionale in versione vegetale.
In questa sede ci interessa infatti la cucina piemontese.
Prima di tutto occorre capire perché un piatto tradizionale entra a far parte della nostra vita fin da bambini come oggetto di appagamento e poi capire quali strumenti abbiamo a disposizione per creare lo stesso effetto con gli ingredienti che consapevolmente scegliamo.
Il modo in cui un cibo ci conquista è composto da tre fattori: il gusto, l’appagamento che fornisce ai bisogni fisici del nostro corpo e la situazione nella quale siamo abituati a gustarlo, quindi un elemento anche emozionale, di suggestione.
Non è quindi solo il sapore che entra in gioco, la cucina vegana professionale non può limitarsi a produrre qualcosa che “sa di” qualcos’altro, questo restituirebbe solo la sensazione di mangiare qualcosa di finto e non soddisferebbe il corpo.
Per questo da Mezzaluna non si ricorre al sale nero che sa di uovo, polpettoni che sanno di carne o cose simili, piuttosto si progetta tutto da capo per proporre alle persone una nuova tradizione costruita sugli stessi principi di quelle esistenti.
Perché il corpo umano nel frattempo non è cambiato, è cambiata la consapevolezza della nostra salute, del nostro impatto sull’ambiente e la volontà di escludere lo sfruttamento degli animali dalla nostra vita.
Punti che necessitano un approfondimento separato e che qui daremo per assunti.
Partiamo quindi proprio dal sapore e poi ci inoltreremo più in profondità.
Per parlarne dobbiamo fare un salto in Giappone… poi torneremo da noi.
Qui nel 1908 il chimico Kikunae Ikeda scoprì il sapore umami, che fino ad allora veniva confuso con il salato, mentre in realtà è percepito da recettori specifici e provoca un piacere sensoriale differente, più complesso e probabilmente maggiore. Il nome individuato dal chimico giapponese non è mai stato tradotto e si utilizza invariato in tutte le lingue. Questo sapore è dato dai glutammati e dai nucleosidi, i primi usati e abusati dell’industria per conferire un sapore che dia dipendenza ai suoi snack salati, dadi e altro. I cibi dal sapore naturalmente umami sono principalmente la carne, i formaggi e il pomodoro, la prima ancor di più quando il sapore è concentrato in sughi e brodo. Abbiamo allora capito come il palato sia attirato da cibi come gli agnolotti al sugo d’arrosto, i timballi a base di formaggi o i risotti mantecati. L’umami abbonda anche nei pesci fermentati come le acciughe sotto sale, base della bagna caoda. Con l’occasione abbiamo anche capito perché ci piace tanto la pasta al pomodoro.
Per creare piatti vegetali che continuino la tradizione culinaria piemontese, che è caratterizzata dal sapore umami, è fondamentale quindi avere delle fonti vegetali che lo forniscano.
La principale la prendiamo a prestito dall’Asia: la salsa di soia ha il solo scopo di conferire questo sapore ed è ormai un prodotto naturalizzato nelle cucine di tutto il mondo; di pari importanza il lievito alimentare, che ha un sapore simile al formaggio.
Quest’ultimo ha anche il vantaggio di essere un integratore di aminoacidi essenziali, utilissimo quindi in una dieta vegana, oltre a essere, come noto, un alleato nel mantenimento della bellezza di pelle e capelli. Ma non è tutto: altri alimenti ricchi del gusto che ci interessa sono le alghe e i funghi. Prendiamo nota e passiamo a parlare della sostanza dei nostri piatti.
L’umami ci attira perché dice al nostro corpo che stiamo mangiando cibi ricchi di proteine, grassi e oligoelementi, in sostanza che lo stiamo nutrendo abbondantemente. Pare infatti che questo sapore faccia sopraggiungere più rapidamente il senso di sazietà rispetto al consumo di cibi che non lo contengono.
Non deludiamo il nostro corpo e facciamo sì che le nostre pietanze saporite poi contengano davvero proteine, grassi e oligoelementi.
Noi useremo grassi vegetali, completamente metabolizzabili, fornitori di energia che non lasciano residui potenzialmente pericolosi nei nostri organi e nelle nostre vene: li prenderemo dalla frutta secca, il vero “formaggio” vegetale e vedremo come e dagli oli. Prenderemo le proteine dai legumi, dal grano attraverso il seitan, dalla quinoa, oltre che dalla stessa frutta secca e dalle alghe: le hijiki che useremo per fare la bagna cauda ne contengono il 10% in peso, per curiosità le nori che si usano per il sushi arrivano al 40%. Poi come detto abbiamo il lievito in scaglie, ricco di aminoacidi essenziali che il corpo utilizza poi per fabbricare le proteine.
Le alghe infine sono il più importante fornitore di oligoelementi a disposizione dell’alimentazione umana: questi elementi sono attivatori del metabolismo e sono indispensabili alla nostra sopravvivenza e alla costruzione dei tessuti del nostro corpo.
In generale per creare piatti buoni e nutrienti in modo semplice e naturale usiamo ingredienti che lo siano all’origine: cereali integrali, verdure nutrienti come quelle a foglia verde scuro, radici e tuberi, legumi, frutta secca e alghe combinati in modo da fornire le proporzioni giuste di carboidrati, proteine, grassi e vitamine.
I titolari di Mezzaluna hanno sviluppato il loro modello nutrizionale partendo della macrobiotica, una filosofia alimentare che permette di seguire una dieta vegana (se lo si vuole) senza carenze, scoperta in gioventù agli inizi degli anni ‘90 e completamente adattata al loro territorio e ai gusti italiani attraverso gli anni e l’esperienza, due cose che ne hanno anche dimostrato l’efficacia sul lungo periodo.
Forti di tutte le nostre conoscenze andiamo quindi a cucinare e vediamo come metterle a frutto attraverso alcuni piatti che hanno valso al ristorante Mezzaluna la fama di “ristorante vegano piemontese”, arrivando anche al terzo elemento di quelli che abbiamo evidenziato all’inizio:
il fattore emozionale e visivo.
Cominciamo con gli antipasti.
– Bagna Cauda di alghe hijiki. Partiamo con uno dei simboli della cucina piemontese, un intingolo di acciughe salate, aglio e olio che nessuno penserebbe si possa fare in versione vegetale. Questa specialità è giocata tutta sul sapore umami, mentre il sapore di mare è molto smorzato dalla fermentazione del pesce. Si tratta di un cibo riscaldante perché ricco dei grassi vegetali dell’olio, che danno energia e degli oligoelementi delle acciughe salate, attivatori del metabolismo.
Per farla in versione vegetale l’aiuto ci viene dal Giappone, attraverso le alghe hijiki, dal gusto intenso con moderato sapore di mare. Le cuociamo, dopodiché le frulliamo assieme a capperi salati, salsa di soia, aglio, olio. Allunghiamo poi con altro abbondante olio per ottenere il classico intingolo, da mettere un poco sul fuoco in modo da servirlo molto caldo. Come abbiamo visto le alghe sono ricche di sapore umami e oligoelementi, accoppiate con i capperi salati e la salsa di soia, che ne rinforzano il gusto e ne correggono l’amarognolo, danno un risultato finale che è incredibilmente simile nel sapore e nell’effetto sull’organismo alla bagna cauda tradizionale. Questa preparazione è una creazione della titolare e chef di Mezzaluna Daniela Zaccuri risalente agli anni ‘90, ma non cessa mai di stupire.
Presentiamo la nostra bagna cauda in un recipiente di coccio, attorniata da verdure crude dai colori accesi da intingervi. La sensazione calda del coccio, la suggestione del piatto tradizionale, la naturalità delle verdure, che tutti associamo alla buona salute e la natura corroborante dell’insieme ci rimettono in pace con il mondo.
Oppure la spalmiamo sui peperoni arrostiti, un altro classico da servire solitamente assieme ad altri antipasti.
Una curiosità: un giorno una cliente giapponese ha chiesto la ricetta, non perché voleva fare una bagna cauda vegan, ma perché dalle sue parti non ci sono le acciughe salate ma abbondano le alghe hijiki.
Per finire un suggerimento: con la pasta base di “acciughe vegetali”, non allungata con altro olio, facciamo saltare la pasta ai broccoli, la mettiamo nel soffritto per la pasta e ceci alla romana e in altre preparazioni nelle quali si aggiungerebbe l’acciuga salata.
– Insalata Russa. Otteniamo la maionese, alla base di questa preparazione, facendo coagulare con l’aceto latte di soia addizionato di panna di soia e emulsionato con olio. Il solo latte di soia non è abbastanza grasso senza l’aggiunta della panna. Aggiungiamo all’emulsione un pizzico di curcuma che, combinata con la soia, dà il giusto sapore dato dall’uovo nella versione animale, oltre a colorare leggermente di giallo. Uniamo poi patate e carote bollite e una buona giardiniera di verdure piemontese, che intensifica il gusto. Anche in questo caso un piatto che sorprende nonché un best-seller assoluto. Molti clienti non vegani preferiscono questa versione a quella originaria.
I colori dell’insalata russa vegan di Mezzaluna sono molto attraenti, quindi per la sua presentazione basta una foglia di lattuga grande sulla quale appoggiarla.
– Sformatino di Quinoa. Il classico flan che non manca mai tra gli antipasti dei ristoranti piemontesi, fatto di formaggio e/o uovo e verdure, ricoperto con crema di formaggio fuso. Una preparazione nutriente e ricca di umami. Noi utilizziamo come base la quinoa, uno pseudo-cereale (non è una graminacea) oggi coltivato anche in Italia: molto nutriente, ricco di proteine oltre che di carboidrati, dal sapore intenso. Lo leghiamo con una crema di soia, salsa di soia e lievito alimentare dal sapore “formaggioso” ottenendo un composto anch’esso molto ricco di umami. Vi aggiungiamo la nostra verdura preferita e inforniamo, ricopriamo poi gli sformatini ottenuti con altra crema che abbiamo tenuto da parte e verdure saltate dai colori sgargianti. Abbiamo appagato occhio, palato e stomaco seguendo lo stesso principio del flan tradizionale ma attingendo solo da ingredienti vegetali.
Anche in questo caso i clienti hanno la sensazione di mangiare un flan tradizionale, non si accorgono che è il principio che è stato riproposto, l’esperienza generale che conta più dell’esatto sapore.
– Salsa Tofumé. Una salsa dal sapore irresistibile da presentare sopra gli affettati vegetali. Frulliamo assieme alla maionese di soia, la stessa che utilizziamo per l’insalata russa, tofu affumicato e capperi salati. Questi due elementi danno l’intensità di sapore della salsa tonnata, il tofu affumicato anche il colore marroncino.
Alcune di queste preparazioni, assieme ad altre, compongono inoltre il noto antipasto piemontese di Mezzaluna, che porta la fantasia al ristorante fuori porta, nella bellezza della campagna.
Veniamo quindi ai primi piatti, i più impegnativi, ma di grande soddisfazione per la cucina oltre che per il cliente.
– Agnolotti del Plin al formaggio di anacardi, noci e timo. I tipici agnolottini piemontesi si facevano originariamente con ripieno di scarti di arrosto e altre carni, molto saporito, tanto che tradizionalmente si servivano “al tovagliolo”, cioè scolati e appoggiati su un tovagliolo, senza alcun condimento, per assaporare il gusto che esplodeva al palato appena aperta la pasta sottile. Da Mezzaluna si è sviluppato un ripieno altrettanto gustoso e nutriente utilizzando la frutta secca oleosa opportunamente elaborata, con un risultato che non ha nulla da invidiare a quello della tradizione. L’impasto di anacardi, noci e timo viene insaporito con lievito alimentare e salsa di soia mentre la sfoglia è realizzata con farina semintegrale tipo 2, resa elastica e resistente con l’aggiunta di amido di mais e farina di semi di carruba. Anche qui si è riproposta un’esperienza conosciuta con ingredienti completamente nuovi, selezionati sia per il sapore che per l’effetto nutritivo, in modo da non lasciare nulla da desiderare.
La frutta secca oleosa o lipidica, per la sua natura grassa e il discreto contenuto di proteine (elevato in percentuale ma di non ottimale valore biologico), una volta ridotta in crema si comporta in cucina come il formaggio.
– Agnolotti di Mele. Ogni anno, nella seconda settimana di settembre, si svolge la tradizionale Sagra del Pom Matan, una varietà di mela autoctona delle Colline Torinesi, a San Sebastiano da Po, un comune che sorge sulle ultime propaggini delle Colline Torinesi – dove queste cedono il posto a quelle del Monferrato.
Questa mela è asprigna e poco dolce, ha un gusto poco gradevole, se consumata fresca. È invece un ottimo ingrediente povero per diverse preparazioni tradizionali legate alle feste, tra cui gli agnolotti di mele – la specialità simbolo della Sagra.
Gli agnulot ‘d pom matan nascono probabilmente come piatto povero per chi non poteva permettersi ripieni più nobili: così le mele asprigne aiutavano a “fare sostanza” senza conferire un gusto dolce indesiderato. Sono diventati oggi un piatto tipico che caratterizza inconfondibilmente il Comune di San Sebastiano.
La preparazione canonica prevede di cuocere a pezzetti le mele e aggiungere alla purea ottenuta un po’ di burro, noce moscata e salsiccia tritata. Una variante del ripieno, preferita dai più poveri, prevedeva di sostituire la salsiccia con uova, cavolo e pane raffermo. La sfoglia e la forma sono le stesse dei classici e ben noti agnolotti piemontesi.
La produzione di pom matan è oggi molto limitata e assorbita interamente nel territorio d’origine, gli agnolotti di mele di Mezzaluna sono fatti con mele cotogne, seitan, noce moscata, pane pesto e lievito alimentare in scaglie.
– Risotto al barbera. I piemontesi di città nati negli anni ‘60 e ‘70 da genitori nati e cresciuti nelle campagne, tra le colline, ricordano molto bene le domeniche dell’infanzia trascorse nella cascina dei nonni, o le intere settimane di agosto, quando tutta la città chiudeva per ferie.
Qualche volta, alla domenica, per un matrimonio o un battesimo si pranzava in uno di quei ristoranti nascosti tra le colline, ma che le famiglie conoscevano bene. Il cameriere passava tra le lunghe tavolate con il suo vassoio argentato pieno delle pietanze della tradizione piemontese, distribuendole nei piatti dei convitati con cucchiaio e forchetta.
Poco più tardi tornava: “Qualcuno ne vuole ancora?”.
Il suo vassoio pareva inesauribile. Non mancava mai il risotto, come questo al vino che Mezzaluna ha rivisitato nel suo stile, facendo la mantecatura con la crema o “formaggio” di anacardi e lievito alimentare: un piatto ricco di sostanza e sapore umami, lo stesso della mantecatura di formaggio.
– Pasta alla Crema di Nocciole e Radicchio spadellato. Con questo piatto uno dei prodotti piemontesi per eccellenza, le nocciole, viene proposto come salsa per la pasta: un utilizzo originale per questo frutto oleaginoso che, di solito, si usa invece per fare i dolci. La sua natura grassa e il suo gusto aromatico contribuiscono a creare una crema fluida, dal sapore pieno e appagante, che andiamo a bilanciare con il tocco di leggerezza della verdura.
La frutta secca lipidica anche in questo caso sostituisce egregiamente i formaggi, ma col vantaggio di essere priva di colesterolo e di non derivare dallo sfruttamento animale.
Si tratta, quindi, di un piatto di pasta molto nutriente: ottimo per la stagione fredda, ma non troppo pesante, per cui è godibile anche in primavera (quando viene ottimo fatto con gli agretti, tipici della stagione, al posto del radicchio). Per il formato della pasta naturalmente sono d’obbligo le tagliatelle, che presentiamo bene accomodate nel piatto in una elegante torretta.
– Gnocchi di patate e Castagne. Gli gnocchi sono uno dei primi piatti più amati in tutta Italia. In un ristorante però si vuole fare qualcosa di non banale, e in uno vegano arricchire l’impasto con un ingrediente sostanzioso che non sia l’uovo: la farina di castagne è perfetta per lo scopo nonché reminescente delle suggestioni del territorio rurale piemontese. Questi gnocchi si accompagnano molto bene con un sugo di funghi porcini nell’atmosfera intima dell’autunno.
Secondi piatti, arriva il piatto forte!
– Flan di Tofu e verdure. Classicissima versione vegan del flan di formaggi, una delle prime ricette sviluppate da Mezzaluna, ma sempre attuale. Può essere presentato come antipasto, fatto in piccoli sformatini, o come secondo piatto, preparato in una pirofila lunga e poi servito a fette. Perfettamente a suo agio in questa seconda veste, ricco delle proteine della soia e del sapore accattivante del lievito in scaglie. Perché il tofu non prende il posto del formaggio, del quale non è neanche lontano parente, ma serve a fornire consistenza (diversa a seconda di come lo si lavora) e sostanza nutritiva. Prende il sapore degli ingredienti con i quali lo si cucina: in questo modo acquista gusto, italianizzandosi perfettamente quando si scelgono i giusti accostamenti. A questo proposito forse non tutti sanno che l’Italia è un grande produttore di tofu, con un suo stile caratteristico.
L’impasto da infornare si ottiene frullando il tofu con spinaci o altre verdure, olio, lievito alimentare in scaglie, salsa di soia e amido di mais.
Magnifico fatto con i cardi, ortaggio caratteristico del Piemonte e poi guarnito, nel piatto, con la bagna cauda di hijiki: la sorpresa del cliente è assicurata!
– Scaloppine di Seitan al Vino Bianco. Il seitan è il glutine del grano, che è costituito di proteine: è stato per anni il secondo vegan per eccellenza. D’obbligo sottolineare che è da evitare assolutamente da chi soffre di celiachia.
Ha caratteristiche gastronomiche molto simili a quelle della carne, il sapore umami di questa viene conferito in fase di produzione cuocendo la massa glutinica con salsa di soia, alga kombu e zenzero: questi elementi oltre a esaltarne il sapore ne aumentano la digeribilità, restituendo preziosi oligoelementi che vanno persi nel processo di separazione del glutine dal resto del chicco. Dato il comportamento in cucina del seitan, così simile a quello della carne, c’è poco da dire su questa ricetta, un altro classico della cucina vegana torinese. Vale la pena invece raccontare due curiosità: il seitan nasce in Cina, dove viene chiamato semplicemente glutine, molto tempo fa – se ne ha notizia dal VI secolo. Era originariamente destinato ai monaci buddisti vegetariani, ma è tuttora venduto in qualsiasi negozio di alimentari lavorato e insaporito in vari modi, per diventare maiale, anatra o abalone vegetariano: queste alcune delle denominazioni commerciali che là potete incontrare. La versione popolare da noi è arrivata in Occidente nella seconda metà del secolo scorso con la macrobiotica. Come il tofu è completamente naturalizzato in Italia, con ottimi produttori proprio qui in Piemonte: il laboratorio cuneese Fonte della Vita, ad esempio, è attivo dal 1985.
– Tempeh in Carpione. Il carpione è una marinatura della tradizione contadina a base di aceto, salvia e aglio, la cui origine si perde nella notte dei tempi, quando non esistevano i moderni metodi di conservazione e sale e aceto erano le sostanze che potevano garantire una lunga durata ai cibi. Si usa per pesci d’acqua dolce, carni o verdure. Il tempeh, un prodotto di origine indonesiana, si presta incredibilmente bene a questa preparazione: al suo sapore deciso e aromatico mancano giusto le “note alte” che vengono conferite dalla marinatura acidula piemontese. Il risultato è una vera e propria esplosione di gusto!
Per chi non conoscesse ancora il tempeh: è un prodotto della lavorazione della soia gialla che si presenta in panetto, proprio come il tofu. Rispetto a quest’ultimo è però profondamente diverso nel processo produttivo e quindi nel risultato gastronomico e nutritivo: il tempeh deriva dalla fermentazione dei fagioli interi cotti, mentre il tofu è il risultato della cagliata del “latte” ricavato dalla lavorazione degli stessi.
La fermentazione è ottenuta tramite inoculazione delle spore di un microfungo, il rhizopus oligosporus. Dopo un’incubazione di 24-28 ore, si ottiene una massa compatta costituita da fagioli di soia ricoperti di una muffa bianca. Durante questo processo fermentativo, si producono delle trasformazioni che migliorano notevolmente le caratteristiche organolettiche dalla soia. Oltre all’eliminazione degli oligosaccaridi responsabili della flatulenza che il legume semplicemente cotto provoca e alla scomparsa degli inibitori che impediscono l’assimilazione dei minerali, si ottiene la predigestione delle sue eccellenti proteine tramite la loro scomposizione a opera del microfungo. Quest’ultimo aspetto è di grande importanza perché rende il tempeh più digeribile del legume dal quale origina e ne fa la proteina vegetale lavorata più digeribile in assoluto.
Anche il tempeh è da tempo prodotto in Italia, solitamente con soia biologica italiana.
– Fritto Misto Piemontese. Il fritto misto di terra viene davvero bene in versione vegan: le proteine vegetali come seitan e tempeh panate e fritte sono proprio buone… Da Mezzaluna se ne fa in gran quantità su ordinazione da portare a casa per le feste come Natale e Pasqua. Anche in questa versione vegetale uniamo pezzi salati e dolci, singolare e inconfondibile accostamento obbligatorio per fare il fritto piemontese. Il semolino da tagliare nei caratteristici rombi viene fatto con il latte di soia e lo sciroppo di frumento per dolcificare: quest’ultimo oltre ad avere un indice glicemico più basso dello zucchero, dolcifica in maniera meno aggressiva, dando un risultato che meglio si armonizza con gli altri componenti del fritto. Questi sono bocconi di seitan, tempeh, tofu affumicato, verdure a piacere, funghi e assolutamente mele. Una vera festa, accompagnato da un’insalata per stemperare il fritto è un piatto unico, anche perché quando si comincia ad assaporare i bocconi si finisce per fare un secondo giro.
E la panatura? Farina di ceci, acqua gasata, sale, pane pesto. Per friggere olio di semi di girasole alto oleico che oggi si trova facilmente ottenuto da pressatura a freddo, senza l’utilizzo di solventi e biologico, e dà un risultato asciutto e leggero.
A questo punto sarebbe il momento del dolce. Questo argomento è piuttosto vasto, richiede una trattazione sulle farine e le consistenze degli impasti, sui dolcificanti con il loro indice glicemico e su come fare dolci per celiaci.
La storia della pasticceria piemontese ha poi risvolti peculiari con le sue influenze dal sud del mondo germanico e dalla confinante Francia, che noi traduciamo completamente nella pasticceria vegana.
Tratteremo tutto questo in un articolo dedicato.
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